mercoledì 23 maggio 2012

"Quale simbolo hanno pensato di colpire?" di Antonio Strinna

                                     
       Quale simbolo hanno pensato di colpire, a Brindisi, attaccando una scuola, uccidendo e ferendo tante ragazze? Difese unicamente dal loro sorriso, dalla loro speranza. Fiduciose nel futuro e nella società forse più di qualunque adulto. Me lo chiedo mentre ricordo la mia esperienza, e quella di migliaia di altri studenti, quando negli anni ’60 frequentavamo, da pendolari, le scuole superiori o l’università, a Sassari. Procedendo lungo un tortuoso nastro d'asfalto, che unisce Osilo alla città, i nostri volti erano al solito allegramente illuminati da canzoni come fossero bandiere, ma anche dai nostri libri, quasi sorpresi di poterli possedere. Ogni giorno di più mi ritrovavo felice e orgoglioso di far parte di questa timida avanguardia, una sorta di nuova infanzia: quella di un paese dopo antiche rassegnazioni. Così che anche i bastardi potevano sentirsi della partita, far sapere al mondo che c'erano pure loro.  

      E adesso -malgrado la notte, notte di terrore e di morte-, quegli stessi bastardi me li ritrovo davanti per dirmi che persino la solitudine, quella dei ragazzi di oggi, possiede il suo fuoco, gelosamente custodito, dentro l'adolescenza e il suo viaggio, imprevedibile. Attorno a quel fuoco, allora, scalpitavano figli di spaccapietre, di mugnai e falegnami, figli di muratori, contadini e pastori.  Stretti ai loro sogni segreti, lo sguardo alto nel tentativo di dare un calcio al passato. Anche io, come loro, pregavo che il tempo mi concedesse di battermi ad armi pari con la vita e con il mondo.

     Ma quale vita e quale mondo certo non lo sapevo. E neppure lo sapevano le ragazze appena scese dal pullman, a Brindisi, davanti alla loro scuola. Lo sapevamo noi, invece, o almeno avremmo dovuto saperlo. Esserne comunque consapevoli. E proteggere la loro innocenza, il loro futuro. Invece, da anni, la nostra scelta sembra andare in direzione opposta: relegare la scuola, e chi la frequenta -studenti e insegnanti-, in uno spazio sempre più angusto, insicuro, sempre meno significante. L’abbiamo sacrificata, indebolita, quasi fiaccata, resa poco e niente credibile. Insomma, un poco alla volta, quasi senza accorgercene, l’abbiamo colpita nel profondo.

     Ma forse non siamo ancora riusciti a comprometterla, la scuola, a farla naufragare del tutto. I giovani hanno risorse inimmaginabili, che a volte ignoriamo, e sottovalutiamo. E queste risorse, impiegate saggiamente come una risurrezione, o una ribellione sociale, potrebbero essere considerate una sorta di lievito che salva e trasforma una farina -la società-, che sta per andare a male.  Ma per qualcuno non è affatto una risorsa; anzi, è un nemico pericoloso. Peggio ancora, è un simbolo, e in quanto simbolo un soggetto socialmente contagioso, trascinante, dunque un simbolo da colpire. La farina che non avrà mai il volto e il compito del pane, per qualcuno è il luogo giusto dove coltivare ogni specie di male, e questo qualcuno non accetta facilmente che le venga sottratto.

     Senza volerlo, i ragazzi di oggi stanno diventando i nuovi eroi? La scuola un nuovo risorgimento, una nuova patria? Perché non sappiamo esserlo noi, e nemmeno sappiamo assumerci le responsabilità -neanche quelle minime-, che ogni cittadino dovrebbe avvertire dentro di sé. A iniziare dalla consapevolezza che nel proprio destino c’è anche quello degli altri. Mi auguro che le cose non stiano proprio così. Altrimenti, vorrebbe dire che la nostra degradazione e la nostra deriva è ormai senza ritorno. Il naviglio, nel quale siamo imbarcati, ormai senza direzione. Per di più, è come se i nostri figli si vedessero costretti, in qualche modo, a fare i genitori. Insomma, a insegnarci qual è il potere dei simboli e dunque dei gesti, quelli positivi, quelli che producono il nostro bene, dal momento che noi abbiamo coltivato finora, persino cinicamente, soltanto i gesti e simboli del potere. Con i risultati che, tragicamente, abbiamo davanti agli occhi. Chissà se anche, indelebilmente impressi, negli occhi della coscienza.  


Antonio Strinna


giovedì 3 maggio 2012

Il noir nell'Italia che cambia di Omar Gatti

Siamo lieti di ospitare degli interventi del blogger e scrittore Omar Gatti, ideatore del blog Noir italiano. Con questo post vogliamo aprire uno spazio dedicato ad autori da scoprire e riscoprire.

C'è stato un uomo, chiamato Giorgio Scerbanenco, che ha dettato le regole e creato le basi del noir italiano. Un uomo schivo e dedito alla scrittura in maniera ossessiva, che ha dato vita a uno dei personaggi chiave della scena poliziesca italiana e raffigurato il mito della "Milano Calibro 9". Sono passati cinquant'anni dalla pubblicazione dei romanzi di Scerbanenco e l'Italia di allora, quella del boom, non esiste più.
Di cosa scriverebbe Scerbanenco oggi?
Racconterebbe di imprenditori strozzati dai debiti che s'impiccano in ufficio, di padri devastati dal dolore per la morte della figlia, uccisa dal fidanzato condannato a un anno di domiciliari. Scriverebbe di faide di mafia consumate in laboriosi paesini del Veneto e di allenze politiche per il consumo indiscriminato del territorio in Brianza. Inventerebbe un poliziotto, un commissario, che si muove in un'Italia che non ha più fede in niente e non crede in nulla, dove futuro è una parola che possono concendersi in pochi. 
Questo scriverebbe Scerbanenco, oggi, con il suo stile asciutto e fotografico.
E noi lo leggeremmo, pensando, come sempre, che sia solo finzione.

Omar Gatti


Concordiamo perfettamente con le parole di Omar e invitiamo chi si cimenta nel genere giallo e noir a leggere questo autore imprescindibile. Vorremmo far notare come Scerbanenco, dopo l'esordio nel giallo con la figura di Arthur Jelling negli anni '40, raggiunse il successo solo dalla metà degli anni '60, ideando una serie di gialli che aveva per protagonista l'ex chirurgo Duca Lamberti. Questo perché? Perché dopo lunga elaborazione è riuscito a creare un giallo totalmente italiano e non uno scimmiottamento di quello anglosassone. Consiglio dunque quegli scrittori che, innamorati, anche giustamente, del mistery e noir americano, si sforzano di riproporre le loro storie in contesti americani o inglesi, non solo a volte inverosimili, ma profondamente lontani dal nostro modo di pensare, di provare a leggere anche questo grande maestro.
Basta scegliere Venere privata e Traditori di tutti che non a caso vinse nel 1968 il prestigioso premio francese Gran prix de littérature policière. Sufficienti per capire che anche la nostra banale Italia offre ottimi spunti per scrivere capolavori, se si sa creare le giuste atmosfere e dare il giusto ritmo alla narrazione. Gli spunti poi non mancano nemmeno oggi, come ci suggerisce Omar Gatti.
Il problema è che i colossi, perchè di colossi si tratta, americani (basti citare Ellroy) hanno oscurato i nostri autori come Scerbanenco appunto, o Loriano Machiavelli, che però non sono da sottovalutare e soprattutto da leggere. Per documentarvi vi invito a visitare proprio io blog di Gatti: